A-FACTOR
Advocacy

A-FACTOR

Il mondo dell’autismo è fatto di persone, e come ogni corpo vivo è in continuo mutamento. In questi ultimi mesi ho iniziato a vedere questo movimento come qualcosa di organico (non fraintendete):

Tanto più si smuovono le acque, tante più persone vi entrano, decidono di prendere la parola, tanto più seguono reazioni uguali e contrarie. In una danza inarrestabile che nonostante tutto ci porta avanti. In maniera scomposta e caotica, ma ci porta avanti. A dispetto di chi vorrebbe mantenere inalterato lo status quo, decidendo chi può dirsi o non dirsi autistico in base a quanto è sorridente, a quanto parla o scrive forbito, a quanto riesce a relazionarsi o a quanto parla di sé non definendosi deficitario.

Ogni tanto mi immagino una giuria tipo X factor davanti alla quale sfilano autistici a decine e in base a quanto questi dimostrano o dichiarano di stare uno schifo, gli assegnano “l’A factor”

tu si ce l’hai e tu non ce l’hai

Con quali motivazioni?

“Ma che sei in grado di autodeterminarti tu? Di autorappresentarti? Riesci a fare cose che altri non potranno mai? E se si, soffri tu? Stai de mmmerda, sei schifato, evitato, solo come la particella di sodio?”

Se la risposta a tutte queste domande è no, lo è parzialmente o solo a giorni alterni, allora non puoi essere autistico.

Perché l’autistico a da suffrì!

Il fatto che le risorse siano scarse e che vengano elargite come si trattasse di un favore, mette gli uni in lotta contro gli altri. Bisogna dimostrare di essere meritevoli, bisogna far vedere quanto stiamo demmerda e che stiamo demmerda più degli altri e che se io sto dimmerda più di te, c’ho più diritto di te. Parte la gara al più dolorante e disgraziato. Ma c’è e ci sarà sempre chi sta peggio o dirà di star peggio e che non ti dovresti nemmeno paragonare a certe persone. Ma mi chiedo: dove finisce questa gara a chi sta peggio? Mi domando se non ci sia un baratro alla fine, ad aspettarci. A rappresentare la merda suprema, quello che quando ci cadi puoi finalmente dire:

“io sto peggio di tutti!”

Ma davvero ci attacchiamo al fatto che qualcuno non voglia dirsi deficitario? Se dico di non sentirmi deficitaria me ne si dovrebbe fare una colpa? Dovrei pensarmi ancora sbagliata, o come una persona a metà? Io ho un sacco di difficoltà, ma a metà non mi ci sento più, è una cosa brutta?
Il linguaggio di chi parla della sua condizione in termini emancipativi non può essere un linguaggio di tipo medico. Sono due cose profondamente diverse. Vi stupisce?Anche se il linguaggio di chi sperimenta una condizione, ha l’enorme pregio alla lunga di contribuire a rendere anche il linguaggio medico più rispettoso delle persone e del loro sentire. Semplicemente perché fino ad ora si è sempre parlato degli autistici come se non si trovassero nella stanza. Adesso in tanti fanno presente:

“Guardate che ci stiamo pure noi qui, state parlando di noi. Un po’ di rispetto!”


E il rispetto non penso sia un male

È successo e succede per tutte le altre condizioni umane e sta succedendo anche per l’autismo, solo che non ci eravamo abituati perché gli autistici erano quasi sempre bambini o non potevano raccontare e non c’erano diagnosi agli adulti come oggi. Adesso quei bambini sono cresciuti, molti parlano, in tanti sono arrivati alla diagnosi da adulti, ma non perché volevano fare i fighi o altro. Perché quando arrivi ad una qualsiasi diagnosi, quando ne senti la necessità e la cerchi, proprio bene bene non stai.
Avevano sempre parlato gli altri, usando il linguaggio che era sembrato loro più adeguato, tanti lo hanno interiorizzato questo linguaggio e ci è sembrato giusto per molto tempo. Adesso in tanti (autistici e no), non si sentono più rappresentati da questo modo di raccontare le cose perché lo sentono lesivo dei diritti di tutti e poco rispettoso del loro sentire.

Come? Vi sentite come se non si potesse più dire niente?

Comprendo e condivido.

Le notti insonni prima della pubblicazione di ogni contenuto si sprecano. perché sento la responsabilità forte di dire le cose nel modo più corretto, semplice ma non banalizzante o riduttivo. Che rappresenti tutti stando attentə a parlare solo per me perché gli autistici non sono tutti come me. Ma se parli solo per te stai trascurando chi non è come te e le sue difficoltà e si sa, gli autistici non sono tutti come me!

Quindi ricapitoliamo: bisogna parlare di chi sperimenta difficoltà diverse e maggiori compromissioni, ricordandosi di parlare di loro, ma non per loro che quello lo può fare solo qualcun altro sicuramente mai un autistico. Tutto questo devi farlo cercando di non risultare saccente, arrogante, manifestando empatia verso tutti, ma non troppa altrimenti sei un finto autistico. Usando un linguaggio che non offenda neanche chi offende te, mentre con l’ultima fetta di culo libera, passi l’aspirapolvere che state a fa un sacco di briciole in giro!

È vero: non si può più dire niente!

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Scritto da Tiziana - Luglio 25, 2022 - 1207 Views

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