Autistic Pride Day
Il 18 Giugno ricorre l’Autistic Pride Day, il giorno dell’orgoglio autistico. Celebrato per la prima volta nel 2005, è diventato negli anni un evento globale. Non è una data scelta dalle associazioni, ma un giorno scelto dagli autistici, per gli autistici. Un giorno senza pezzi di puzzle, senza lucine blu, un giorno in cui rivendicare l’orgoglio di essere sé stessi.
Autismo, è una parola che fa paura. Come si può essere orgogliosi di qualcosa che può rendere la propria e l’altrui vita tanto difficile? Forse per questo motivo tanti ancora faticano a definirsi tali. Non è semplice dirsi autistici, ricevi in cambio reazioni stranite più o meno palesi: dalle occhiate di sufficienza, all’incredulità, fino al fastidio vero e proprio.
Mi è capitato molte volte, che il dichiararmi autistica, venisse recepito come un voler minimizzare difficoltà e sofferenze altrui. Non è affatto così. Io sono autistica. È quello che sono da tutta la vita. Ero una bambina, poi una ragazzina e adesso sono una donna autistica.
L’anno scorso in questa occasione ho scritto un post molto sentito, quasi arrabbiato. Avevo bisogno di dire e forse anche di dirmi alcune cose. Era un periodo in cui affrontavo di petto la difficoltà del dirmi autistica. Mi sono scontrata con molte persone nel farlo. Ne è seguita stanchezza e la consapevolezza che lo scontro non avrebbe portato a nulla di costruttivo per nessuno. Mi sono distanziata da tutto per un po’, poi ho iniziato ad avere di nuovo voglia di parlare, raccontando a mio modo cosa ho capito in questi anni. Ho cominciato a farlo in maniera timorosa e poi sempre più risoluta. Collaborando anche con altri, il racconto si è allargato e arricchito. La paura era tanta, ma con grande sorpresa, c’erano tante persone felici e bisognose di ascoltare.
Non so descrivere cosa si provi a sentire che le tue parole sempre sottovalutate, sono utili a qualcuno. È sempre faticoso, ho ancora paura e timore ad espormi, ma il pensiero che questo possa fare la differenza per qualcuno, mi spinge a continuare. Perché c’è tanto da fare, a cominciare dalla bonifica del linguaggio. Qualcuno potrà pensare non abbia importanza, ma se ancora giornali, professionisti, educatori, utilizzano espressioni come: “affetto da”, “soffrire di” o “colpito da”, importa eccome! Il linguaggio è importante, perché si traduce in azioni, pensieri e infine in cultura, consapevolezza, accettazione.
Potrà sembrare assurdo impuntarsi sulle parole, quando siamo pieni di problemi, le risorse che mancano, le famiglie sono lasciate sole…
Che potrà mai succedere se diciamo “con autismo” invece di dire “autistico”? In fondo la sostanza è sempre quella no?
Non proprio. L’autismo non è qualcosa che si ha, non è un accessorio. È una diversa organizzazione del sistema nervoso e comunicare, pensare, percepire il mondo in un altro modo, contribuisce a determinare chi sei. È pervasivo, non può essere tolto dalla persona come un indumento. È parte di noi.
Allo stesso modo mi trovo in disaccordo e mi dispiace moltissimo che ci sia ancora gente che l’autismo invece lo vuole combattere.
Combattere l’autismo è combattere gli autistici e rimpiazzarli con una versione normalizzata degli stessi. Non sarebbero più le stesse persone! Vanno combattute l’ignoranza, la mancanza di rispetto, di risorse, di servizi. Si dovrebbe combattere, per ottenere tutti quegli adattamenti che rendano possibile frequentare i luoghi della quotidianità, poter esercitare i propri diritti fondamentali.
La gara a chi soffre di più, non ha vincitori, ci sarà sempre qualcuno che soffre di più. Non è costruttivo. Come non lo è, combattere qualcosa che è parte di noi.
Contribuire a far nascere una cultura dell’autismo, non significa negare le difficoltà, ma cambiare la narrazione fino ad oggi raccontata:
Ovvero quella che parla di persone difettose, sbagliate, senza un pezzo, da rieducare, correggere. Piuttosto che di una differenza da comprendere e accettare. Qualche post fa, ho parlato delle stereotipie e della loro importanza e tanti hanno accolto con interesse avendone già intuito l’importanza. Altri invece con stupore, avendole finora viste come qualcosa da non incoraggiare. L’apertura manifestata, nel recepire anche altri aspetti come quelli sensoriali, mi ha commossa. Certe cose possono davvero essere dolorose ed essere capiti, ha più effetto di tutte le terapie del mondo.
La conoscenza e la comprensione, migliorano la qualità della vita di tutti. Persone che non devono rinnegare se stesse, sono persone più felici. Si può educare, insegnare, porre in essere degli interventi (quando servano alle persone), tenendo però conto delle peculiarità di ognuno.
Reprimere, non rende più normali o meno autistici. Rende infelici e frustrati.
Che gli autistici abbiano finalmente voce in capitolo e accesso a contesti e processi in cui si discute di autismo, è fondamentale perché il racconto sia il più completo possibile. Grazie al racconto di chi l’autismo lo vive direttamente.
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