Cosa è l’Autismo – Spettro e Neurodiversità
Per DSM e manuali diagnostici, è un insieme di deficit, sintomi e compromissioni in ambito sociale, comunicativo e comportamentale.
Deficit, sintomo, compromissione: questa è la prospettiva medica dell’autismo e della disabilità in genere. Secondo questo approccio, sono le caratteristiche e peculiarità della persona ad impedirle di prendere parte attiva alla vita sociale e produttiva della comunità. La disabilità risiede all’interno della persona stessa.
Visione che diventa limitante e dannosa quando finisce per invadere ogni ambito nella vita delle persone. Arrivando ad influenzare aree che dovrebbero risultargli estranee. La persona allora diventa per il mondo e per sé stessa un agglomerato di deficit. Sei tutto quello che non puoi fare.

Chi non corrisponde al canone di “normalità” universalmente accettato, è “sbagliato”. Canone che però non rappresenta ciò che è giusto, bello o al quale conformarsi. Ma è semplicemente ciò che viene riscontrato più di frequente. La società non è stata educata al diverso e le persone relegate ai margini. O peggio se ne parla in termini di specialità o bontà (sono tanto speciali, sono tanto buoni). E allora dei legittimi bisogni, diventano: “bisogni speciali”.
Ma le persone non hanno bisogni speciali, hanno bisogni umani. Perché tutte le persone al mondo sono diverse, quindi la diversità è normale, la diversità è umana! Ed è proprio per questo che dovremmo cominciare a ragionarne in termini nuovi.
Secondo il modello sociale invece, è la società a disabilitare le persone con caratteristiche differenti, a causa della sua organizzazione abilista. Una società abilista, discrimina le persone, presupponendo che tutte abbiano un corpo abile e non mette in campo gli opportuni adattamenti che possano consentire a ognuno di prendere parte attiva alla vita sociale, politica, economica, produttiva…
L’approccio sociale, non parla di deficit ma di differenze, non di sintomi ma di caratteristiche.
Secondo questa prospettiva allora, possiamo definire l’autismo come una serie di differenze che portano gli individui a muoversi, interagire, percepire ed elaborare il mondo e gli stimoli esterni, in maniera diversa rispetto alla norma. Molte delle sfide che comporta l’autismo, derivano da quanto il mondo accolga, rifiuti o fraintenda i nostri bisogni. Non è una malattia, quindi non siamo “affetti da”.
L’autismo accompagna la persona fin dall’inizio e poi per tutta la vita. In quanto differenza nel sistema nervoso, è insito all’individuo, non un accessorio. Non si può togliere per non esserlo più, influenza il modo in cui vediamo il mondo e contribuisce a plasmare chi siamo. Anche per questo preferiamo definirci “Autistici” e non “persone con autismo”. E se in qualche strano modo si potesse togliere l’autismo dalla gente, il risultato sarebbero persone completamente diverse da chi conosciamo e amiamo.
Tratti autistici possono essere presenti in tutta la popolazione in misura variabile, ma è la pervasività, il numero di queste caratteristiche e il fatto che siano presenti da sempre ad essere fondamentale.
Quindi no, non siamo tutti un po’ autistici!
Occorre cominciare a pensare all’autismo in maniera differente per compiere un cambiamento in positivo. Un modo per operare questo cambiamento, è abbracciare il concetto di Neurodiversità. Termine coniato nel 1998 dalla sociologa Judy Singer.

La neurodiversità, indica la variabilità cerebrale all’interno della popolazione umana. Cioè in parole povere, tutti i tipi di “mente” esistenti al mondo. È un fatto biologico che il cervello di ogni persona sia diverso da ogni altro, rendendo unico ogni individuo. Se accettiamo questo, accettiamo il concetto stesso di Neurodiversità o di diversità cerebrale.
Grazie alla Neurodiversità, al mondo abbiamo artisti, matematici, estroversi e introversi… Persone che amano il Pop e altre il Rock, jazz, la musica classica. Persone con gusti differenti insomma.
La neurodiversità contribuisce a formare la ricchezza della biodiversità umana
Judy Singer
Tra tutte queste persone, alcune sono accomunate da caratteristiche statisticamente più frequenti e da uno sviluppo cerebrale simile, vengono per questo definite “tipiche” o “a sviluppo tipico”
Altre persone che divergono da questo cosiddetto sviluppo tipico, vengono per questo dette “neurodivergenti” o “neuroatipiche”, perché appunto divergono dalla norma.
Ci sono anche altre espressioni di neurodivergenza come la Tourette, l’ADHD, la dislessia, discalculia… e questo si sta allargando anche ad altre condizioni.
Quindi il mondo non è diviso tra Neurotipici e Neurodiversi… ma siamo TUTTI NEURODIVERSI!
Sviluppo tipico non vuol dire giusto e Neurodivergente di contro non vuol dire sbagliato o da aggiustare. Ma è semplicemente una naturale manifestazione della biodiversità umana. Una delle tante possibili.
Tanto più la Neurodiversità è rispettata e incoraggiata, all’interno di una cultura, tanto più adattabile, stabile, sostenibile e ricca, sarà questa cultura. Come un alto livello di biodiversità all’interno di un ecosistema, si traduce in un ambiente più stabile, equilibrato e prospero.
Judy Singer
È riconosciuta estrema importanza ai racconti e alle esperienze di chi vive con una persona autistica e quanto complicato possa essere il ruolo di genitore. E non si vogliono negare le sfide che l’essere autistici comporta, in un mondo prevalentemente modellato su bisogni non nostri. Ma si pensa che molte di queste sfide e difficoltà sarebbero meno impattanti se fossero messi in atto adattamenti su alcuni versanti.

Abbandonare un linguaggio che ci descrive come deficitari, rotti, sbagliati, è altrettanto importante. Perché le parole contano, il linguaggio che usiamo per definirci e definire chi amiamo conta. Contribuendo a formare la percezione che abbiamo delle persone e di noi stessi. Cominciamo quindi a non usare più parole come deficit, difetti, malattia, affetto da, sintomo o gravità.
Le caratteristiche degli autistici vanno considerate come una diversità cognitiva. Non più come modi sbagliati di intendere socialità, gioco, divertimento, di percepire, di imparare, comunicare… solo modi diversi, altrettanto validi. Da capire e rispettare.
Perché non c’è un solo modo per un cervello di essere normale, come ci sono molti modi per un cervello di raggiungere la condizione adulta. E in un ambiente adeguato e accogliente una persona autistica che è lasciata libera di essere sé stessa non solo può funzionare bene, ma a volte anche meglio di altre persone tipiche [*].
Baron Cohen
[*] citazione tratta da: “L’autismo oltre lo sguardo medico” A cura di Enrico Valtellina – Erickson editore

Per cui le etichette di alto e basso funzionamento, usate per provare a classificare le persone, non solo sono fuorvianti ma anche poco rispettose e dannose. Indicano il modo in cui TU percepisci e fai esperienza del mio autismo e non come IO lo vivo per davvero dall’interno.
Definire qualcuno ad alto funzionamento, invalida e non riconosce i suoi sforzi, la fatica che fa questa persona e il supporto di cui avrebbe bisogno. Stai giudicando la sua abilità a portare più o meno bene, più o meno a lungo una maschera di “normalità”.
Definire invece qualcuno a basso funzionamento, lo disumanizza. Lede la sua dignità di essere umano, negando i suoi punti di forza e possibilità. E nutrendo bassissime aspettative, in merito alle sue capacità, lo relega ai margini limitandone le opportunità.
Le etichette di alto e basso funzionamento presuppongono che lo spettro sia lineare, dal poco autistico al molto autistico. Lungo questa linea immaginaria vengono posizionate le persone a seconda di come vengono percepite dall’esterno. Ma lo spettro è multidimensionale. E alle due dimensioni dobbiamo aggiungerne una terza e miriadi di sfumature per descriverlo adeguatamente.
Le persone in genere non funzionano sempre allo stesso modo quando stanno bene o male. Se non hanno dormito o quando sono stressate o traumatizzate. Perché gli autistici dovrebbero farlo invece? Definire una persona applicandole un’etichetta a vita, è riduttivo.
Una rappresentazione dello spettro autistico che trovo calzante e di facile comprensione, è questa:

nega i suoi sforzi e il supporto di cui avrebbe bisogno. Definire qualcuno a basso funzionamento, lo disumanizza e nutrendo basse aspettative nei suoi confronti lo si relega ai margini.”. Più in basso sulla sinistra, c’è una rappresentazione lineare dello spettro autistico che va dal poco autistico al molto autistico. Sopra questa linea sono posizionati in diversi posti tre bradipi. Sotto c’è un riquadro verde con una didascalia: “Lo spettro autistico non è lineare, ma multidimensionale. La molteplicità di tratti al suo interno, può essere espressa in modi differenti nelle persone.” Accanto sulla sinistra una rappresentazione circolare dello spettro con cinque aree (tratti), rappresentate: “Linguaggio, capacità motorie, sensoriale, percezione, funzioni esecutive”. In basso sulla sinistra un mixer audio con sette livelli di regolazione. Accanto una didascalia dice: “mmaginiamo che ad ogni area (o tratto), corrisponda il livello di regolazione di un mixer audio. Ogni persona, avrà la sua configurazione. Questa può cambiare nel tempo, in base al contesto. Le etichette di funzionamento invece, riducono le persone ad un solo livello statico e immutabile, indipendentemente dal passare del tempo e dalle condizioni di vita.”
*la rappresentazione circolare dello spettro è tratta da un’idea di Rebecca Burgess quella del mixer audio, viene da un meme anonimo.]
Un mixer con vari livelli di regolazione. Ad ognuno corrisponde un’area. Quella sensoriale, il linguaggio, la socialità, le routine, la letteralità… per cui in alcune aree posso essere molto performante ed in altre esserlo molto meno o affatto. Questo nel tempo cambia, perché cambiano i contesti e le condizioni in cui mi trovo ad interagire, le persone, le esperienze, cambio IO. Quindi queste levette si muoveranno per tutta la vita su o giù. Questo vale per tutti gli autistici. Prendendo in considerazione anche le comorbidità, condizioni associate ma non riconducibili all’autismo, avremo allora un caleidoscopio di possibilità infinite e persone che affrontano difficoltà differenti anche in base al contesto in cui vivono.
Il concetto di funzionamento, riduce le persone ad un solo livello statico e immutabile, indipendentemente dal passare tempo e dal contesto. Facendo percepire eventuali cambiamenti come miglioramenti o peggioramenti, quando potrebbero essere invece la reazione agli ambienti o tentativi più o meno riusciti di mascheramento. Mascheramento che finisce per ledere la salute mentale di chi vi ricorre.
Chissà quanti comportamenti ritenuti prettamente autistici dipendano invece da un mancato riconoscimento di sé protratto nel tempo. Crescendo in un ambiente respingente che non riconosce e accetta le tue esigenze e peculiarità, dai e dai ci si chiude o si adottano comportamenti, percepiti come problematici dall’esterno.
Inseguire la conformità, senza premurarsi di capire come e perché siamo diversi, genera infelicità. Pensare all’autismo in un altro modo, può aiutare ad operare un effettivo cambiamento nella società ed essere di supporto alle persone.
Bibliografia:
- Disability Studies (Emancipazione, inclusione scolastica e sociale, cittadinanza) – Roberto Medeghini, Simona D’Alessio, Angelo D. Marra, Giuseppe Vadalà e Enrico Valtellina – Ed. Erickson
- L’autismo oltre lo sguardo medico (I Criticam Autism Studies vol.1) – A cura di Enrico Valtellina – Ed. Erickson
- Neurodiversità (Per una Sociologia dell’autismo, dell’ADHD e dei disturbi dell’apprendimento – Enrico Caniglia – Ed. Meltemi
- Neuropeculiar – CHE COS’È LA NEURODIVERSITÀ? (Traduzione da un contributo originale di Judy Singer).
- Neurodiversity 2.0 – What is Neurodiversity? – Judy Singer
- Reframing Autism – A manifesto for allies adopting an acceptance approach to Autism
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- Neuropeculiar – COSA C’È DI SBAGLIATO NELLA DEFINIZIONE DI WIKIPEDIA DI NEURODIVERSITÀ? (traduzione da un contributo originale di Judy Singer)
- Neurodiversity 2.0 – What is wrong with this Wikipedia definition of Neurodiversity?
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1 Commento
É proprio così. Il problema che abbiamo sempre bisogno di un medico che ci faccia diagnosi. La parola diagnosi mi fa venire la pelle d’ oca se riferita alla” autismo. Ma per ora non possiamo prescindere. Con la diagnosi possiamo avere la insegnante di sostegno e la legge 104. Senza no. Come si può fare?