Dedicato (a tutti gli imbrattatele)
Negli anni la mia priorità nelle relazioni è sempre stata quella di sbagliare il meno possibile, cosa che però, concentrata com’ero a perseguire la perfezione, puntualmente facevo.
Sentendomi sotto osservazione, ho finito per mettermi da sola sotto ad un microscopio analizzando ogni più piccola sfumatura di divergenza, da ciò che mi era stato insegnato essere la normalità.
C’era sempre qualcosa che veniva accolta con sopraccigli alzati, sdegno, offese, tanto da darmi l’impressione di essere spinta ai margini, qualunque ambiente frequentassi. Tutte le volte, dopo quello che veniva percepito come scortesia, sciatteria, indolenza… la sensazione era quella di avere sporcato irrimediabilmente una tela che mi era stata consegnata bianca e della quale non avevo avuto abbastanza cura.

Seguiva il ritiro ancora più estremo e la voglia di scappare, cambiare aria, raggiungere nuovi luoghi, nuove persone, per poter sfoggiare ancora una volta una tela intonsa. Ad ogni cambio di ambiente l’illusione era quella di una riacquistata verginità. Non ero quella strana, quella che “ne faceva sempre una”, quella che poi si rifugiava nel suo silenzio. Il periodo in cui la tela si manteneva candida, era bello, ma in un modo terribile. L’ansia dell’inevitabile perdita della sua illibatezza, era ingestibile. Mi sentivo alla deriva su una zattera che sarebbe affondata da un momento all’altro. Un’attesa angosciante.
In questi ultimi giorni la sensazione di avere insozzato la mia tela, si è rifatta viva e forte. Quello che è cambiato è che non ho più voglia di andare a procurarmene una nuova. La mia tela è bella così.
È la mia tela.
(La qualità del video è il massimo che il mio pc ormai vetusto, poteva partorire. E la perfezione non è di questo mondo.)
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