Diversità e normalità
Il primo dei tre post frutto della collaborazione con Egadi Pride, il Pride più piccolo d’Italia ma solo per dimensioni, non per cuore, impegno, fantasia. Sono onorata che mi abbiano chiesto questa collaborazione e di andare a parlare di inclusione e intersezionalità, anche per l’affetto che mi lega a Favignana che fa parte delle mie radici (essendo il luogo natale di mia nonna materna). Felice di poter prendere parte ad un Pride progettato per tutti, anche per le persone come me, che ogni anno vorrebbero parteciparvi ma non riescono a causa del caos e dei rumori che caratterizzano le parate. Da persona autistica e queer, sono molto contenta che in giro per l’Italia, in molti abbiano recepito le indicazioni di tanti attivisti, in particolare Simone Riflesso, che lo scorso anno con Sondapride, ha indagato l’effettiva inclusività dei Pride italiani. Contenta di aver visto tante foto e video testimonianze di persone che gli scorsi anni non potevano avvicinarsi ad una parata, prendervi finalmente parte.
Se vi trovate dalle parti di Favignana l’1 luglio, ci vediamo lì. Buon mese del Pride a tutti.
Siamo portati per nostra natura a ragionare per scorciatoie, generando mappe del mondo che ci rendano più semplice e veloce la “navigazione”. Allora tendiamo a dividere il mondo e le persone in categorie, alle quali assegniamo un valore più o meno positivo, perciò ci sono i “perfettamente integrati”, quelli che “funzionano” in ogni situazione, quelli che si ritrovano a vivere esperienze e caratteristiche comuni a molti altri. I “normali” detto in una parola, e poi tutti gli altri: quelli diversi, che normali non sono.
Dire “non sei normale” equivale a dire di essere sbagliato, da aggiustare, equivale a qualcosa di negativo e affatto desiderabile.
Cosa vuol dire però davvero “essere normali”?
Nelle varie società, per esigenze di tipo amministrativo, si è cominciato a “misurare” le caratteristiche della popolazione per rispondere in maniera adeguata ai fenomeni che si verificano al loro interno. Non certo per assegnare ad ognuno un’etichetta di “buono” o “meno buono” ma per riconoscere e misurare cosa accadeva e quanto. “Normale” è quello che accade con più frequenza quindi, ciò che è più comune.
Ad un certo punto della storia però, abbiamo cominciato a considerare la normalità come qualcosa di giusto e rassicurante a cui tendere e a darle un valore positivo, appiccicando addosso alle persone lo stigma del diverso.
Ma essere “normali”, non è una cosa bella o brutta, è semplicemente un dato statistico che denota l’appartenenza ad un determinato campione. Il concetto di “normalità” può inoltre variare di luogo in luogo, per cui quello che è considerato normale in Giappone o in Cina, lo è meno o affatto in Germania o da qualche altra parte. Ma può cambiare anche nel tempo. Se pensiamo al modo di vestirsi o pettinarsi del passato ad esempio, può apparire davvero molto strano.
Tutti vogliono essere normali, ma essere perfettamente nella media in tutto e per tutto, è considerato al contempo espressione di grigiore e monotonia. Per cui, un po’ tutti desideriamo distinguerci da questa massa informe per non scomparirci dentro e perdere tutta la nostra individualità e importanza. Siamo tutti quanti condizionati a considerare la norma quale metro per misurare il valore nostro e altrui, quando l’unica cosa normale è proprio la variabilità.
Il fatto di poter essere umani in tanti modi differenti è l’unica cosa normale.
Il mondo è diversità, nonostante ci ostiniamo a credere il contrario. Noi stessi siamo diversi da chi eravamo ieri. Tutte le cellule del nostro corpo si rinnovano di continuo, infatti, e ogni 7/10 anni lo fanno completamente.
Non siamo uguali nemmeno a noi stessi.
Eppure non facciamo altro che confrontarci da sempre con qualcosa che non esiste, perché lo abbiamo imparato da chi lo faceva a sua volta prima di noi e così via. Il mondo ci appare diviso tra maggioranza e minoranze. Ma sarà davvero così? Da chi è composta la maggioranza? Chi ci sta dentro?
Contiamoci un po’.
Se non sei donna, puoi già considerarti fuori, quindi togliamo almeno il 50% della popolazione mondiale. Hai la pelle chiara? Ah no? Fuori un’altra bella fetta. Sei ricco? No? Allora fuori pure tu. Occidentale? Cristiano? Etero? Cisgender? Senza alcuna disabilità?
Aspetta, aspetta… ma dove sta la maggioranza?
È necessario cominciare ad educarci tutti quanti alla diversità, diventando consapevoli anche delle nostre differenze prima che di quelle altrui. Forse sarebbe più sensato pensare all’umanità come ad una variabilità, somma ed espressione di tante unicità, ognuna portatrice di sfumature e bisogni unici:
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