Equilibrio tra movimento e quiete
Questo post nasce da una conversazione con una persona che stimo molto. Mi ha descritto queste dinamiche e mi ci sono riconosciuta, come spesso mi capita quando mi confronto con altre persone autistiche.
È in cantiere da un po’, lasciato decantare per settimane, come tutte le volte, è nato con lentezza. Descrive qualcosa che ha condizionato la mia vita a lungo e che continua a condizionarla. Per anni mi sono fatta una colpa per questo periodico bisogno di isolamento. Ho provato a resistergli, ritenendolo qualcosa che andava ad intaccare la mia produttività, la mia capacità di funzionare e più gli resistevo, più mi devastava.
Tale bisogno può sopraggiungere dopo un momento faticoso o gioioso. Perché se qualcosa è intenso, lo è a prescindere dal suo segno positivo o negativo. Il bisogno di fermarsi a ricaricarsi osservando tutto dalla propria confortevole bolla (mi riservo di fare un altro post sulla tanto abusata, ma a volte salvifica bolla), ormai so che è fisiologico. Ho imparato a fatica ad accettarlo come parte di me, come momento di differente produttività, perché in questi momenti maturano le decisioni, le idee, si schiarisce il paesaggio. Ho imparato però ad accettarli senza indugiarci troppo dentro, perché tende ad inglobare come le sabbie mobili e li allora partono paranoie, senso di solitudine, profonda tristezza, mancanza di fiducia nelle mie capacità.
Ma forse è così per tutti. Forse la vita è equilibrio tra forze contrastanti che dobbiamo imparare a gestire. Equilibrio tra movimento e quiete, per cui quando il movimento arriva al suo apice arriva la quiete e viceversa.
Per voi come è? Così? Diverso? E in cosa?
Mi interessa dare una sbirciatina nel vostro mondo
La socialità mi stanca molto.
La cerco, ne ho bisogno, ma mi fa paura e mi esaurisce.
Sono molto ambivalente: a periodi apparentemente estroversa, per poi rifugiarmi puntualmente nel mio mondo.
Direi che essere autistica, è per quanto mi riguarda, barcamenarsi continuamente tra la limitatezza delle mie energie e la voglia di fare ed essere nel mondo.
Fare e relazionarmi con gli altri, mi fa stare bene e male. Non li capisco molto spesso e mi stancano anche, tanto che a periodi vorrei stabilirmi in pianta stabile nel mio antro. Che dopo un po’ però, mi afferra e fagocita non lasciandomi andare. Diventa una macchia nera che avvolge, e uscire una volta che sei entrata è arduo.
Uno forzo fisico.
Una volta uscita a fatica, mi sento esposta, quasi nuda e vulnerabile al giudizio. Come se avessi tutti gli occhi puntati addosso e che si attenda solo un mio errore. Quando l’errore non arriva e riesco a “fare bene”, divento fiduciosa delle mie capacità e di “poterlo rifare” altrettanto bene. Viceversa, più rimango chiusa, più mi sento molto incapace di rapportarmi e di fare qualsiasi cosa.
Spesso, penso alle mie abilità sociali come a dei muscoli da allenare e sviluppare, ed effettivamente a volte è stato così. Ma tante altre, non c’è esercizio che tenga
Alla fine ho solo voglia di nascondermi sotto una pietra. E quando improvvisa arriva la stanchezza, da fuori raramente capiscono, perché stava andando tutto apparentemente bene. Magari stavo in una delle mie fasi di iperattività e dopo queste, la stanchezza arriva sempre improvvisa e mi sento quasi in colpa per non riuscire a stare in mezzo alla gente, per non poter fare diverse altre cose. Devo necessariamente ritirarmi.
È come un tiro alla fune interiore. Come una marea che ho imparato ad assecondare, ed eventualmente a combattere quando mi tira troppo a fondo. Per raggiungere un equilibrio fra forze contrastanti.
Mi stanco quando “faccio” e sto nel mondo e mi stanco pure quando vado in ritiro a ritemprarmi, perché alla lunga mi sento distante da tutti, lontana chilometri. Allora si rifanno sotto tutte quelle voci antiche che amano dirmi:
“non sei incapace” – “ma cosa pensi di fare”
Tutte le volte sento che ne potrò uscire solo con uno sforzo sovrumano. Guardo tutti come dietro i vetri di un acquario e non li capisco. Tutto è senza senso.
Sento bisogno di riposo ma il riposo diventa immobilità, che diventa nascondersi e sentirsi di nuovo ai margini, incapace. Lotto ancora per tornare fuori e tutto ricomincia.
In un ciclo continuo.
2 Commenti
Ciao Tiziana
questa è la descrizione esatta di ciò che sto vivendo in questo periodo (o forse da tutta la vita) leggere il tuo blog….. un pochino mi aiuta a non pensare che sono pazza…. credo che sia difficile capire da fuori, ma sopratutto da spiegare… io non sarei capace di farlo perché è qualcosa che succede e non qualcosa che decido di fare…. però poi quando lo leggi sul web…. scopri che è esattamente quella cosa che capita proprio a te!!!
Il nuovo lavoro mi appassiona molto…. ma mi scarica la batteria, lavoro con le persone…. per cui…. sai qual’è la cosa pazzesca? che sono considerata brava e la mia bravura è nella relazione di aiuto! riesco a capire le persone in difficoltà e ad esserli vicina… ad entrare in relazione Ag agganciarle….. ma poi mi stanco e mi devo chiudere….. e succede sempre…. oscillo tra la ipersocialità…. e l”antisocialità estrema….. poi questa stanchezza comporta: che mi dimentico di chiedere le ferie (la procedura formale), di timbrare il badge, di rispettare gli orari di entrata e uscita, di fare la pausa pranzo …. etc….. la segreteria è sempre arrabbiata con me perché ‘mi dimentico’ le procedure formali che mi riguardano….. e che tra l’altro andrebbero a mio vantaggio…. così è…. sto valutando attentamente la possibilità di comunicare chi sono….. certo un assistente sociale autistica stonerebbe un po’!!
Ciao e grazie per il tuo blog
Emanuela
Grazie a te per il tuo commento 🙂