Intersezionalità
Il termine “Intersezionalità” è proposto dalla giurista e attivista per i diritti delle donne nere Kimberlè Crenshaw, in seguito ad un caso di discriminazione sul lavoro, che si trovò a seguire. Si trattava di un gruppo di donne nere, ma la loro esperienza non era assimilabile ad un semplice caso di discriminazione di genere, né ad altri casi di discriminazione per il colore della pelle di cui fossero protagonisti degli uomini.
Non esitevano strumenti per comprendere ed eventualmente risolvere i casi di discriminazione derivanti dall’intersezione di più dimensioni, per cui, la corte rigettò il caso non riuscendo a collocarlo esattamente in nessuna fattispecie.
Il genere, l’etnia, una o più condizioni di disabilità, l’orientamento sessuale, possono coesitere e l’esperienza di una persona che vive più dimensioni contemporaneamente, non sarà mai paragonabile né assimilabile a quella di chi ne vive una per volta. Una donna potrebbe scontrarsi contro una discriminazione di genere, una donna nera anche con quella razziale. Una donna lesbica, nera e disabile, dovrà affrontare anche l’eteropatriarcato e l’abilismo.
Difficilmente si considera quanto l’esperienza di chi vive più intersezioni possa essere complessa. Ognuna di queste dimensioni si lega inscindibilmente e influenza le altre, generando forme di disuguaglianza ed esclusione sociale inedite. L’intreccio di tutte queste discriminazioni, rimane pressoché invisibile e spesso non sono previste tutele specifiche.
Una prospettiva intersezionale ci aiuta a vedere la complessità dei vissuti di ciascuno, spingendoci (o almeno dovrebbe farlo), a mettere il naso fuori dai nostri steccati, per confrontarsi con chi vive altre condizioni o più condizioni insieme. Ma non solo, dovrebbe aiutarci a comprendere come la lotta per il conseguimento dei diritti di alcuni, non possa prescindere o ignorare le condizioni e le lotte altrui, voltando le spalle o peggio, ponendosi in antagonismo nei confronti di altre categorie marginalizzate.
Il cammino non può che essere comune, le lotte devono procedere di pari passo, chiedendosi sempre se stiamo considerando tutti, se ci dimentichiamo qualcuno per strada. Perché pure tra emarginati non abbiamo tutti lo stesso passo, non procediamo alla stessa velocità.
Il 18 giugno, è la giornata dell’orgoglio autistico, fissata nel mese del Pride, proprio per rifarsi a quest’ultimo. Molte persone autistiche sono anche parte della comunità lgbtqia+, tante sperimentano anche altre intersezioni. Per la stragrande maggioranza delle persone autistiche, partecipare ad un Pride è impensabile a causa di caos, rumori, mancanza di spazi di decompressione e altro. Prevedere adattamenti per loro, ma anche per chi vive disabilità motorie, sensoriali e altre condizioni, e voglia partecipare alle parate in quanto gay, lesbica, trans… o alleat*, è importante sia per le singole persone, per dar loro visibilità, ma è anche una ricchezza per il Pride, evidenziando quanto sia variegata la comunità, dando spazio a bisogni e necessità fino ad ora invisibili.
Un approccio intersezionale non permette solo di perseguire politiche sociali o di ottenere contesti più inclusivi, ma compatta le minoranze che possono diventare una massa molto consistente e soprattutto visibile di persone, che decide di intraprendere un cammino comune.
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