Le merdavigliose avventure di un’attivista
Come ogni anno, i giorni attorno al due aprile si sono rivelati molto duri. Per evitare di alimentare il solito clima, ho voluto spiegare i motivi che spingono molte persone autistiche a non amare i simboli usati per rappresentare l’autismo. Ho usato appositamente la parola “molte”, perché io non conosco tutte le persone autistiche al mondo e perché per alcuni, usare questo o quel simbolo è indifferente.
Spiegando il punto di vista di una grande quantità di persone, illustrando anche l’origine di quei simboli, contavo di rendere evidente la legittimità di queste istanze che non sono dettate dal mero capriccio di persone che si sono svegliate una mattina, col puro intento di dettar legge. In tanti non conoscevano le ragioni di certe rimostranze effettivamente, ed è stata un’occasione di riflessione e dibattito, che era quello che auspicavo.
È naturale che ognuno prendendo coscienza di sé, preferisca un racconto e una simbologia positive. Positive non nel senso che vogliano negare le difficoltà in cui versano migliaia di persone in misura variabile.
L’intento non è neanche quello di zittire o sostituirsi in qualche modo alle famiglie delle persone autistiche che non possono autorappresentarsi. Famiglie che mi sembra siano state fino ad ora l’unico interlocutore interpellato nelle varie sedi, al contrario degli autistici. Le stesse giornate a tema sono quanto di più inaccessibile per una persona autistica e non sempre quando lo si fa presente, vi si pone rimedio.
Non si vuole nemmeno parlare per conto di qualcuno che non sia sé stesso. Quando si parla di autismo, lo si fa partendo dalla propria esperienza perché ognuno vive nei suoi panni e può descrivere solo la propria esperienza, che è la propria appunto e in quanto tale, diversa da quella di qualsiasi altra persona autistica esistente al mondo (a prescindere dal bisogno di supporto). Questo dovrebbe valere per tutti però, non per i soli autistici. Ognuno può descrivere l’esperienza che vive e questa esperienza, non è “l’autismo” o “il vero autismo”, ma l’esperienza dell’autismo che vive di persona o indirettamente.
L’autismo non è un brand, per cui il cambio di un “logo” va studiato e approvato da un consiglio di amministrazione o da un’assemblea di soci. L’autismo è fatto di persone e i simboli non sono loghi. Ogni persona quindi ha il diritto di usare quelli che ritiene più aderenti a sé e anche di dire che quelli usati fino ad ora hanno delle connotazioni negative insite nella loro stessa storia e che si riflettono nella concezione che le persone hanno dell’autismo.
Non siamo qui a studiare strategie d’impresa o a fare indagini di mercato, sul gradimento dei consumatori, perché potrebbero non seguire più i discorsi che facciamo o sostenere le nostre cause se al posto del puzzle blu, usiamo un altro simbolo. Sta a noi far conoscere le nuove istanze e significati.
Quello che ha a che fare con l’umanità (e l’autismo è una delle tante possibili varianti di umanità), non può cristallizzarsi in un racconto sempre uguale. Il pensiero e la sensibilità collettiva cambiano (per fortuna), la vita è movimento. Domani ci porremo problemi ancora nuovi che oggi non hanno ancora un nome e quello che fino a qualche anno fa ci sembrava assodato, oggi manifesta tutte le sue criticità. È fisiologico.
Quindi perdendo per strada la motivazione per poi ritrovarla e perderla ancora, continueremo a parlarne in tanti, ognuno attraverso il suo canale di elezione: ballando, disegnando, scrivendo, facendo video, scenette, con serietà o con ironia, pagando un prezzo a volte molto alto in termini di energie e salute mentale.
Il fatto che lo si faccia magari col sorriso sulle labbra, non cancella le difficoltà che anche chi si può raccontare prova sulla sua pelle, pure se balla mentre le racconta.
[Descrizione video: Piccola animazione dal titolo su sfondo giallo: “Le Merdavigliose avventure di un’attivista”. All’inizio si vede il primissimo piano di una Tiziana appena abbozzata cerca qualcosa con un binocolo dicendo: “dove è finita?”. Nella seconda scena si vede Tiziana di profilo che grattando la testa si chiede “ma dove se ne sarà andata?”. Nella scena seguente con gli occhi sgranati e indicando dice: “eccola!”. Si vede allora la parola MOTIVAZIONE in giallo al centro della scena. La parola comincia a correre e Tiziana la insegue dicendo “FERMATI!”. Nella scena seguente si vede la sua mano che quasi l’afferra, ma all’improvviso arriva una badilata sulla faccia. Sul badile c’è scritto: “combattiamo la neurodiversità”. La badilata produce un suono “sbam, sdang” e un lampo giallo. Dopo la badilata Tiziana ha gli occhi a spirale e le stelline che le girano attorno alla testa. Arriva un’altra badilata che dice: “che ne sapete voi del vero autismo”. Tiziana perde diversi denti, ha un occhio nero, si è ferita il naso, ma sorride con dei cerchi concentrici attorno alla testa. Arriva un’altra badilata: “Il puzzle ha fatto anche cose buone”. Con i tamponi al naso, tutti e due gli occhi e il anso blu (autismo), e la faccia gonfia, continua a sorridere. Arriva un’altra badilata: “vogliono zittire noi genitori”. Tiziana malconcia afferma: “non mi arrenderò mai!”. Arriva un’altra badilata “non potete parlare per tutti!”. Nella scena seguente sono c’è Tiziana-Terminator, con mezza faccia robotica, gli occhiali rotti, giubbotto di pelle e dietro la scritta “Hasta la vista baby”. Arriva l’ultima badilata: “perché non parlate anche di autismo grave”. Nell’ultima scena Tiziana è in terra K.O., ma ha preso la MOTIVAZIONE. Dice: “ti ho presa”. L’ultimo fotogramma dice “The End” e c’è il logo di Bradipi in Antartide.]
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