Prospettive
Le Cronache del Bradipo

Prospettive

Da qualche tempo faccio tanta fatica a seguire i social, fb e i gruppi soprattutto, anche quelli a tema autismo. Ma un post qualche giorno fa, ha catturato la mia attenzione e non ho smesso di pensarci da allora. Era la foto di un’attività che un bimbo aveva realizzato con la sua terapista. In alto c’era scritto:

Cosa faccio quando sono felice

e la pagina a quadri grandi, era divisa in due colonne:

In una, contrassegnata con un pallino verde e la scritta “si può”, tutte le cose ritenute accettabili. Nell’altra, contrassegnata con pallino rosso e scritta “non si può”, tutte quelle che non lo sarebbero invece.

Nella colonna dei “si può” stava scritto:

  • Sorridere
  • Dire “sono felice”
  • Stringere la mano alle persone

Nella colonna dei “non si può” invece:

  • Saltare
  • Urlare
  • Abbracciare

Non era un’attività volta ad illustrare la necessità del distanziamento sociale causa Covid (anche se sarebbe ugualmente discutibile), neanche diretta a far capire che non si parla agli estranei. Il bimbo inoltre, non è descritto come particolarmente irruento (che sono le cose che ho pensato all’inizio per provare a trovarci un senso). So che vi sale il nervoso, è salito anche a me tanto che non me la sono più dimenticata questa foto, postata dall’insegnante di sostegno del bimbo, anche lei molto critica con questa… non saprei come chiamarla (o forse lo so, ma è meglio non farlo).

Tralasciando il fatto che per giorni, ho provato ad immaginare il tipo di risposte che si potrebbero collezionare mettendo in atto una simile condotta, e finivano tutte con “azzo” o “nchia”;

Che le cose andrebbero contestualizzate, perché quello che in una situazione può anche andar bene, in un’altra proprio per niente;

Che usiamo espressioni come: saltare di felicità o scoppiare di felicità, e non contenersi per la felicità, proprio perché la felicità è per definizione spesso incontenibile e se riesce a far perdere i freni inibitori ad un adulto, non capisco perché per un bambino dovrebbe essere diverso.

Chi può decidere come un’altra persona debba o non debba manifestare un’emozione?

Nessuno naturalmente, ma alle persone autistiche, ai bambini soprattutto, cose del genere succedono di continuo. Nel caso in cui ci siano degli atteggiamenti poco rispettosi del prossimo, va insegnato naturalmente che alcune cose non si fanno e il perché anche. Tolte queste ovvie eccezioni, i sentimenti e le emozioni delle persone, sono affar loro.

Quando sono felice posso saltare, sfarfallare, urlare, correre avanti e indietro… Ma non lo faccio mica solo io che sono autistica. Allo stadio quando la squadra del cuore segna, la gente fa un po’ le stesse cose. Si abbracciano perfino! Cosa che io non farei mai: abbracciare uno sconosciuto. Se non è inadeguato in questo caso, perché dovrebbe esserlo nel caso di una persona autistica? Tranne nel caso in cui si vada oltre il rispetto per il prossimo, lo ribadisco. Ma questo vale per chiunque.

E allora mi viene da pensare anche a tutte quelle cose giudicate strane e spesso per questo ritenute inadeguate, e come al solito le domande dentro la mia testa diventano un fiume in piena.

Come e in base a cosa si giudica quello che è inadeguato e quello che invece lo è? Quanto è giusto stabilire cosa sia o non sia adeguato, se funzioniamo in maniera differente? Come possiamo basare i nostri giudizi su ciò che è normale in un dato momento storico, se questa normalità può cambiare in base ai contesti e col passare del tempo?

Qualche tempo fa, un persona molto arrabbiata mi disse che noi autistici dovevamo smetterla di dire certe cose, che la normalità è una e non esiste una normalità autistica.

Ecco, e se invece esistesse? Non è forse tutto una questione di prospettive?

Che ne pensate? Qualcuno ha voglia di dire nei commenti come la pensa in merito?

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Scritto da Tiziana - Giugno 7, 2021 - 1961 Views

2 Commenti

  • Irene Giugno 9, 2021 a 4:30 am

    Post molto interessante! Sono rimasta molto colpita dalla vignetta in cui il bradipo dice cose senza senso e gli viene fatto notare. Mi ha colpito perché è una cosa che mio fratello (autistico) fa molto spesso quando, almeno nella nostra interpretazione, è stanco, molto eccitato per qualcosa o magari non riesce più a seguire la conversazione. Questo per dire che solitamente lo prendiamo come un segnale che per esempio ha bisogno di riposarsi e quindi gli suggeriamo attività in quella direzione. Però sì, gli diciamo di non dire “bischerate”, siamo toscani. E spesso lo facciamo perché se continuasse si ecciterebbe sempre di più.. Quindi non so, mi viene il dubbio se abbiamo capito le sue necessità, se facciamo bene o meno. Non avevo mai sentito qualcun altro fare lo stesso. Grazie per lo spunto di riflessione.

    Risposta
    • Tiziana Giugno 16, 2021 a 6:02 am

      Di nulla. Io lo faccio nei momenti di noia di solito. Certe volte senza nemmeno rendermi conto. Sono due parole “rotonde” belle da pronunciare 🙂

      Risposta

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