Sarà il ciclo
Non avrei voluto farlo, non mi sono neanche taggata all’ospedale mannaggia, ma ho riflettuto e ho capito che è una cosa di cui bisogna parlare.

Se un autistico si trova a dover ricorrere a cure ospedaliere, metta in conto che potrebbe non essere compreso.
In questi due mesi ho fatto avanti e indietro dal pronto soccorso, per quello che all’inizio sembrava essere un episodio di appendicite acuta. A confermarlo un’ecografia e gli esami di rito. La prima volta mi rimandano a casa con una dose da cavallo di antibiotici e mi dicono:
“se peggiora torni”
Peggiora e io torno.
Ahh questo brutto vizio di essere letterali!
Ma dopo un solo giorno di antibiotico? Ne faccia passare almeno due!
Ok, scusate il disturbo. Ritorno quando sto in peritonite.
Se cercate di spiegare che avete un rapporto particolare col dolore, che potreste non sentirlo affatto quando dovrebbe essere tanto o sentirlo molto quando dovrebbe essere poco, se vi presentate con occhiali da sole sotto ai neon e intolleranza verso tutti i rumori, sappiate che potreste non risultare credibili. Per quanti sforzi voi facciate per dissimulare la vostra ansia, questa sarà esponenzialmente amplificata dal modo in cui si rivolgeranno a voi.
“ma non sarà mica il ciclo?”

Ok, io capisco che al pronto soccorso si presentino tutti i tipi di persona, anche chi esagera. Ma che a 44 anni, io non sappia riconoscere i dolori del ciclo, mi pare poco probabile e sinceramente mi fa pure incazzare che lo si pensi.
Primo ricovero, mi rigirano come un calzino, il mio dolore non lancinante (lo ripeto di continuo), ma strano, non esiste. Me lo starò immaginando e mi ripetono di continuo: “sarà il ciclo”.
Poco prima di dimettermi sento il medico che fuori in corridoio mi fa il verso
Maledetta sensorialità accentuata! Ebbene si stronzo ti ho sentito.
Passo i due giorni seguenti in lacrime e le feste di Natale a stecchetto, per paura di sconvolgerle a tutti. Per quanto continui a mangiare brodini, il dolore con l’epifania si ripresenta.
“No basta. Me lo sto immaginando, avevano ragione loro, non è nulla, non è nulla”
Ma continua, è strano, è un dolore strano. E per quanto faccia di tutto per distrarmi “se distrai l’attenzione ti passa” non passava affatto.
Ebbene si, mi ero convinta di essere andata in hyperfocus e di amplificare una sensazione di fastidio finendo col percepirla come dolorosa.

Ancora una volta stavo mettendo in dubbio le mie percezioni.
Dopo 3 giorni sto male sul serio, in famiglia insistono e mi portano al pronto soccorso ancora una volta.
Fortemente avvilita, non avevo la forza di affrontare di nuovo quella gente, non volevo andare. L’ansia aumenta sempre più, vado in sovraccarico sensoriale, uno di quelli belli belli. Prendo la diagnosi di autismo della ASL prima di uscire di casa, per paura mi imbottiscano di psicofarmaci. Arrivo in ospedale con difficoltà a tenere gli occhi aperti, mal di testa e vertigini che mi rendevano difficoltoso anche camminare.
Mio marito fa presente la situazione: “mia moglie è autistica, sta male ed è in sovraccarico sensoriale”. Mi trovano un angolo in penombra, non sono attrezzati per queste situazioni. E’ già tanto che mi fanno entrare, dandomi codice giallo.
Sulla barella accanto alla mia c’è una vecchietta sofferente. Dice “ahi ahi” di continuo. Poco più in là, il suono di un saturimetro. Gente che entra ed esce, lo sbattere di cornette telefoniche, il rumore ovattato delle crocs sul pavimento in linoleum… Comincio a dondolare al ritmo dei bip e degli ahi ahi ahi.
Arriva il medico, mi scuso perché porto gli occhiali da sole, cerco di spiegare. Comincia visitarmi, descrivo ancora una volta, cercando di rendere la mia strana percezione del dolore, recuperando a fatica le parole in mezzo alla nebbia dentro alla mia testa.
Di nuovo il responso é: “gli esami sono ok, non c’è nulla”
“ma io ho problemi a digerire anche la pasta in bianco!”
Mi fanno l’ennesima tac a contrasto. Chiedo di spegnere le luci al neon e la faccio al buio. 3, 2, 1, decollo!
Trattenga il respiro… può respirare… trattenga il respiro… può respirare… arriva il mezzo di contrasto, potrebbe sentire una strana sensazione… bla, bla…
Arriva l’orrendo sapore di gomma in bocca, poi il calore
Trattenga il respiro… può respirare…
… Qualcosa stavolta vedono a quanto pare e decidono di trattenermi per fare altri controlli. Mi accolgono in reparto delle vecchie conoscenze, domande di rito e mi accompagnano in camera. La mia vicina di letto, è una vecchina di 90 anni dai capelli d’argento.
Assomiglia a Rose del Titanic da anziana

Fa notare l’infermiera. La camera per fortuna è al buio, sistemo le mie cose, mi attaccano la flebo e sconsolata mi metto a letto. Sarà una lunga notte. Gli ospedali non riposano mai, i reparti dove è ricoverata gente anziana, ancora meno. Avverto un cigolio strano e per qualche minuto cerco di capire da dove provenga, è la mia compagna di stanza che emette un suono strano, non proprio un ahi, ma una specie di sospiro. Le infermiere le danno del tu e tra un “non hai niente” e l’altro passano il tempo a parlare male dei pazienti della stanza accanto.
No, ma fate pure come se noi non ci fossimo.
Sta pieno così di visionari questo ospedale e chissà perché sono tutte donne a vaneggiare. Da noi ci si aspetta che soffriamo in silenzio e che siamo di supporto agli altri nel frattempo. Che siano altre donne a pensarla a questo modo, è veramente desolante.
Insomma, dopo 4 giorni di digiuno ed esami vari, quando inizio anche io a cigolare e comincio a fare hoplalà salendo sul letto, arriva il responso.
Non mi sono immaginata nulla a quanto pare. Con facce contrite, mi dicono che hanno visto effettivamente un ‘infiammazione e che bisogna attendere il responso dell’esame appena eseguito per capire da cosa sia causata.
Avrei potuto dire tante cose, ma non ho la risposta pronta o meglio ce l’ho ma sempre il giorno dopo, quindi non ho detto niente.

In quel momento ero contenta di non essermi immaginata nulla, come quando davanti alla psichiatra confidandole il mio dubbio di essere autistica lei mi disse che: volevo essere autistica per essere vicina a mio figlio e quindi me lo stavo immaginando. Come altre mille volte in vita mia, quando non sono stata presa sul serio e poi i fatti mi hanno dato ragione, ero sollevata. Sollevata di non essere fuori di testa. Perché se sta cosa continuano a ripetertela tutti, alla fine un po’ ci credi pure tu.
Ci hanno ossessionato con studi su studi, su quanto l’autismo sia correlato alla salute del famosissimo microbiota intestinale, e una volta che vi si presenta un’autistica col mal de panza voi che fate… le date della visionaria?

Adesso come sto? Meglio. Mangio brodini.
Detto tutto ciò, non è assolutamente mia intenzione sminuire o screditare le professioni di medico o infermiere, per le quali nutro molto rispetto. I miei hanno fatto gli infermieri per quasi 40 anni e lo dico sempre con orgoglio. Tantissimi medici ed infermieri fanno il proprio lavoro con estrema professionalità, passione e impegno. Nonostante ciò, certe cose purtroppo succedono e penso bisogni parlarne sperando non accadano più. Più che le varie raccolte fondi per trovare improbabili cure, sarebbe meglio sostenere altre battaglie. Che nelle varie università che si occupano di formare medici, infermieri e insegnanti, venga studiato più di un trafiletto sull’autismo. Che vengano dati gli strumenti per interfacciarsi nel modo più corretto possibile in certe situazioni, per non acuire l’ansia già presente. Che si cominci a parlare di barriere architettoniche sensoriali e un po’ meno di socialità, mancanza di empatia e le solite cose alle quali si ritiene sia più importante dare rilevanza.
La qualità della vita aumenta nel momento in cui si percepisce rispetto da parte di chi ci sta di fronte. Rispetto e non la consuetudine a sminuire o a etichettare in altro modo il nostro modo di essere.
Anche se non è la prima volta, non ci si fa mai il callo. Fa sempre e comunque male non essere creduti, riconosciuti, validati. Non voglio più trovarmi in situazioni simili e spero che nessun altro ci si trovi. Soprattutto i più giovani.
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