3 aprile: possiamo ritornare invisibili
È passata. È stato arduo come ogni anno, ma è passata e l’abbiamo anche reso pieno del racconto degli autistici questo 2 aprile. Ma adesso come ogni 3 aprile e per tutti i 364 giorni a venire, ritorniamo in naftalina a disturbare il meno possibile.
L’autismo verrà riesumato il prossimo anno, quando servirà per riempire i titoli di giornale, le pagine web, il palinsesto tv. Sempre con lo stesso racconto fatto di lacrime e sofferenza a farci dire:
“poverini meno male che non è toccato a me”
oppure: quanto è speciale, buonə, quanto ispira…
Ma i media fanno solo il loro lavoro, che si, sarebbe quello di informare, ma nell’era social in cui i contenuti vengono presi e masticati via alla velocità della luce, bisogna catturare l’attenzione facendo leva sulle corde emotive e l’autismo vende. Quindi è sfruttato come qualsiasi altra cosa, non fatevi illusioni di essere importanti un giorno all’anno. Parlano di autismo per come credono che sia e come gli è stato insegnato che sia.
Come tutti noi gli abbiamo insegnato a parlarne.
Si, perché è arrivata l’ora di fare un poco di autocritica e analizzare il modo in cui noi per primi ne parliamo. Questo racconto condito di pietà e sofferenza, sperando serva a concederci le briciole, forse nel tempo è stato alimentato da tutti noi. Mi ci metto anche io in mezzo, perché non voglio e non mi va di accusare nessuno che già c’ha i suoi bei cazzi da pelare (scusate il francese). Ci è stato raccontato che l’autismo è una condanna senza appello, ce ne hanno parlato sempre in termini di sintomi, compromissioni, deficit. E lo abbiamo interiorizzato così bene, da pensare fosse vero. Da sentirci deficit viventi o famiglie deficitarie, mancanti di qualcosa.
Io lo so che ci sono persone che ogni giorno affrontano delle difficoltà veramente importanti, questo nessuno lo nega. Ma il racconto che è venuto fuori dell’autismo fino ad oggi è servito solo a questo:
A riempire i giornali, il web, i palinsesti, di contenuti che catturano un’audience facile.
A far empatizzare la gente per 5 minuti per poi con uno scroll, finire ben relegati in fondo ad una timeline. Non funziona, non ci porta da nessuna parte.
Mi rendo conto di fare un discorso impopolare. Probabilmente qualcuno si sentirà ferito, penserà che manco di empatia (sono autistica, in fondo dicono che non ne abbiamo di empatia), che non rispetto la sofferenza di qualcuno. Ma non è così, è proprio perché ho in considerazione la sofferenza delle persone che faccio questo discorso, perché vorrei che non dovessero più soffrire.
Ieri durante la diretta di Neuropeculiar, verso la fine, un genitore ha fatto un discorso che vorrei andaste tutti a sentire (sta all’ultima mezz’ora più o meno). Tra le altre cose, ha parlato di quanto dopo la diagnosi abbia avuto la percezione di sentirsi in debito con un sacco di persone, che gli concedevano qualcosa (pagandole profumatamente naturalmente). E doveva pure dirgli grazie e muto perché: è già tanto che ti stiamo considerando.
Ecco, è qui che ci ha portato questo modo di raccontare l’autismo:
Che di fondo non freghi niente a nessuno degli autistici e delle loro famiglie.
Cliccando l’immagine, verrete reindirizzati alla diretta del 2 aprile.
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